Il desiderio più grande per chi soffre di paure di non riuscire più a farcela o di non sentirsi più in grado di cambiare il triste futuro ormai scritto è legato in maniera indissolubile a l’idea che qualcosa prima o poi cambierà e probabilmente per volere di qualcun altro, non certo per il proprio. Così come è sopraggiunto, quel sentimento di incapacità acquisita svanirà con il presentarsi di un evento salvifico e guaritore.
Infatti per ansia si intende quella apprensione o spiacevole tensione data dall’intimo presagio di un pericolo imminente e di origine in gran parte sconosciuta. Ne consegue un eccessivo e irragionevole timore di soccombere di fronte alla minaccia o al pericolo così percepito. Pericolo che non sussiste realmente, ma la sensazione che possa presentarsi costringe ad evitare tutte quelle situazioni ad alto rischio di panico, creando facilmente una serie di limiti alla libertà d’azione di chi ne soffre.
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A questo si aggiunge che le cause profonde di quest’ansia sono molto spesso intrapsichiche, cioè intime e difficilmente individuabili. Tuttavia è possibile intervenire partendo proprio dalle conseguenze che quest’ansia produce, ovvero dai comportamenti messi in atto in di fronte alla paura di sentirsi male e al timore di trovarsi in una situazione ad alto tasso ansiogeno, senza il bisogno di esserci fisicamente. Da qui il nome paura della paura.
L’ansia anticipatoria infatti è il pilastro su cui si regge l’intera struttura del panico una volta che questo si è manifestato almeno in un occasione. L’organismo risponde ai segnali di allarme che la mente gli invia anche in assenza di un reale pericolo. Per cui palpitazioni, sudorazione eccessiva, senso di svenimento ed altri sintomi tipici degli attacchi di panico possono presentarsi in contesti del tutto estranei tra loro e privi di reali minacce per l’incolumità della persona. L’esperienza clinica e i molteplici studi su questo tipo di disturbi hanno evidenziato che, una volta venuta a contatto con la paura di star male, paura peraltro reale a differenza delle cause non tangibili, la persona impegna tutta se stessa per far fronte al problema, in modo sia consapevole sia involontario e automatico. E proprio mediante tentativi ridondanti di far fronte alla difficoltà percepita, in maniera automatica e stereotipata, il problema iniziale circoscritto inizia col diventare una vera e propria condizione generale di sofferenza. Non è più solo quell’oggetto o quell’evento a far paura, ma tutte quelle situazioni analoghe che suscitano sensazioni spiacevoli, che vanno puntualmente evitate proprio perché dolorose e inaccettabili. A questo punto il circuito vizioso del panico è ormai attivo e perfettamente funzionante!
Quali fattori è importante considerare per intervenire in modo efficace?
Possiamo quindi distinguere due forme di ansia: quella “normale” e “non-patologica”, ovvero quell’ansia che viene affrontata con comportamenti costruttivi e protettivi e che consente di mantenere un giudizio lucido e non distorto delle situazioni; quella “patologica” e “invalidante”, quando l’individuo mette in atto dei tentativi non efficaci e stereotipati di adattamento alle condizioni che una data situazione impone, tanto che, paradossalmente, sono proprio questi tentativi a diventare problematici ed invalidanti. La persona ne risente in maniera tale da mancare di lucidità ed efficienza, tanto da non saper raggiungere scopi realistici. In un certo senso quindi, l’ansia eccessiva è più “pericolosa” della paura.
Pertanto maggiore è il tempo trascorso dal primo episodio di panico e i tentativi ripetuti e fallimentari di risolvere il problema, maggiore sarà il grado di adattamento della persona al nuovo equilibrio (omeostasi) invalidante. Molto spesso, è proprio questo aspetto a rendere difficoltoso il processo di risoluzione. Mi capita di sentire di frequente, durante gli incontri con persone che soffrono di questo tipo di disturbi, che dopo diversi anni di convivenza con la paura della paura, le forme di evitamento non sono più un vero problema. Molte delle situazioni che puntualmente si evitano perché considerate rischiose (l’ascensore, la metropolitana, i centri commerciali, l’automobile nelle ore di punta, ecc.) non sono più considerate così indispensabili, anzi, si può tranquillamente farne a meno! L’istinto di sopravvivenza e lo spirito di adattamento, normalmente utili e talvolta indispensabili per gli esseri viventi, risultano in questi casi delle vere e proprie panacee, perché permettono di sostituire ciò che non è indispensabile con varianti altrettanto soddisfacenti, sopperendo a quelle mancanze altrimenti fonti di eccessiva frustrazione. Ad esempio: “Ho smesso di prendere l’ascensore perché fare le scale è una piacevole attività fisica per il mio corpo”. Oppure: “Evito di andare nei centri commerciali perché il tempo che impiego per il parcheggio e per fare la fila preferisco spenderlo meglio in altre cose”.
Un intervento efficace, che sia anche efficiente, deve necessariamente considerare che ogni momento di ansia acuta si manifesta con fenomeni che sono evidenti su cinque fronti:
Fisiologico, con sintomi che interessano l’apparato cardiocircolatorio, gastrointestinale, respiratorio, ed in generale neurovegetativo. Ad esempio aumento della pressione, tensione dei muscoli, aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, accelerazione dei processi di memorizzazione e dell’ideazione, aumento dell’attività sensoriale.
Percettivo-Reattivo, con risposte ridondanti di attivazione psico-motoria eccessiva di fronte a stimoli “non realmente minacciosi”.
Cognitivo, come la catastrofizzazione, la valutazione irrazionale della realtà, il perfezionismo, l’astrazione selettiva, l’autosvalutazione, la polarizzazione sulle cose che temiamo, l’inferenza arbitraria ecc..
Comportamentale, in questo caso l’ansia si manifesta con comportamenti di evitamento o di fuga. Scappare di fronte alla realtà, però, non fa altro che interagire con l’aspetto cognitivo contribuendo a cronicizzate le paure.
Profondo/Inconsapevole , come manifestazione di un conflitto interno (es.: vorrei ma non posso, dovrei ma non ci riesco) che porta a leggere le situazioni esterne come molto difficili o addirittura impossibili da affrontare.
Intervenendo esclusivamente sul fronte fisiologico mediante l’utilizzo di psicofarmaci specifici (come le benzodiazepine e gli SSRI) è possibile modificare l'intensità delle emozioni e l'orientamento generale del pensiero. Pertanto l’obiettivo terapeutico consiste nella riorganizzazione della normale attività neurofisiologica, specie se accompagnati da un lavoro di modificazione delle convinzioni e del comportamento.
Tuttavia, sebbene gli ansiolitici modifichino l'intensità delle emozioni e addirittura l'orientamento generale del pensiero, non modificano gli specifici modi di pensare ed agire. Dunque non bisogna farsi trarre in inganno: il fatto che i farmaci siano efficaci ed agiscono a livello chimico, non deve far pensare che l'attacco di panico sia un disturbo puramente biochimico, che può essere curato definitivamente risistemando la biochimica del cervello. Infatti lo scopo dell'assunzione dei farmaci non deve essere quello di sfuggire alle ragioni dell'ansia, ma deve aiutare ad affrontarla e superarla.
Un intervento che mira a risultati duraturi e in tempi brevi, senza per questo indurre dipendenze di alcun genere, deve piuttosto agire, primariamente, sul sistema di valutazione del pericolo della persona, quindi sul suo sistema percettivo-reattivo ed in conseguenza sul sistema di credenze, convinzioni e automatismi, sia al livello cognitivo sia ad un livello più profondo e inconscio. Il sistema percettivo-reattivo funziona come un vero e proprio meccanismo di allarme, che scatta ad ogni segnale di pericolo, reale o immaginario, predisponendo il corpo e la mente alla fuga. La rottura del circolo vizioso percezione del pericolo - reazione di allarme – evitamento/fuga – convinzione di non riuscire a controllarsi e di fallire innesca un meccanismo contro-circolare che aggiunge automaticamente nuove esperienze positive nella memoria della persona. Infatti è proprio attraverso una nuova esperienza emotiva correttiva (Franz Alexander - "Psychoanalytic Therapy: Principles and Application") che avviene tale rottura, per mezzo dell'applicazione di strategie prescritte durante il percorso di psicoterapia. In particolar modo, la terapia breve ad approccio strategico prevede che si facciano nuove esperienze (a livello emotivo prima e cognitivo poi) differenti da quelle ripetute sino a quel momento, predisponendo una base indispensabile per il cambiamento e, quindi, per la risoluzione del problema. Non viene perciò curato solamente il sintomo, ma si lavora affinché la persona possa maturare un cambiamento di percezione e reazione più profondo che garantisca stabilità e continuità nel tempo.
Che tipo di trattamento scegliere per ottenere effetti più duraturi nel tempo?
Alla luce di quanto esposto finora, è chiaro che una preventiva distinzione tra manifestazioni di ansia anticipatoria e percezioni irragionevoli di paura della paura è indispensabile ai fini di un intervento clinico efficace e dagli effetti duraturi. Infatti se la paura è alla base di quasi tutte le risposte di ansia, a ciò consegue che per risolvere i problemi ad essa legati, come quelli fobici, bisognerà intervenire a livello di percezione degli stimoli minacciosi. Lo stesso vale per gli altri disturbi di ansia: l’intervento deve mirare alla rottura del sistema che genera paura e non alle reazioni di ansia, che sono piuttosto naturali e spesso fondamentali.
Purtroppo nella realtà clinica questo avviene di rado con due significative conseguenze; da un lato la persona bisognosa di aiuto non vede miglioramenti, anzi a volte peggioramenti del suo stato; dall'altro il clinico comincia a sostenere che se la persona non migliora forse la causa risiede nella stessa persona, che non sarebbe ancora pronta a superare il suo disagio. In un’ottica funzionale questo fenomeno non ha senso: se un intervento non funziona la causa è nell'intervento stesso (probabilmente inefficace o applicato malamente), non nella persona! Specifici protocolli d’intervento, se applicati da un professionista esperto, possono ridurre o prevenire gli attacchi di panico nel 70-90% dei casi. La maggior parte dei pazienti mostrano un significativo progresso dopo poche settimane di psicoterapia.
In conclusione è senza dubbio preferibile intraprendere inizialmente un percorso di terapia breve, che preveda degli obiettivi ben definiti da raggiungere in un arco di tempo congruo alle possibilità del paziente. Non escludendo tuttavia la possibilità di integrare, una volta raggiunti i risultati auspicati, un percorso di psicoterapia più profondo ed evidentemente più lungo, per indagare ulteriormente eventuali aspetti conflittuali emersi nel trattamento breve. L'obiettivo primario resta sempre quello di restituire alla persona la sensazione di benessere nei vari ambiti della sua vita.
Ivano Cincinnato
Cosa sono gli attacchi di panico?
Come si curano gli attacchi di panico?
Trattamenti efficaci per gli attacchi di panico.
I tempi giusti per un trattamento efficace contro gli attacchi di panico.
Cosa fare? Istruzioni per un primo intervento rapido contro il panico.
Fobie: come si alimentano e come combatterle.
Genetica: esiste una componente ereditaria degli attacchi di panico?
Consulenza gratuita per liberarsi dai sintomi degli attacchi di panico.
Dott. Ivano Cincinnato
Psicologo Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Breve ad Approccio Strategico. |
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Specialista in Psicologia Clinica e in Psicodiagnostica |
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Esperto in Disturdi d'Ansia e Panico e in Disturbi dell'Umore. |
Centro di Clinica e Formazione Strategica - Via Carlo Mirabello, 18 - 00195 Roma ( zona Prati ) Tel.: 06 92 92 74 30 E-mail: info@curaregliattacchidipanico.it
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